Un passaggio non aggirabile - di Marino Badiale
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Un passaggio non aggirabile - di Marino Badiale
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1. La casa editrice Jaca Book ha iniziato a pubblicare una collana di brevi testi intitolata ai “precursori della decrescita”. La collana è diretta da Serge Latouche, e ogni volumetto è formato da un saggio introduttivo e da una antologia di testi. Si tratta di una iniziativa che nasce a seguito di una analoga collana francese , sempre diretta da Latouche. L'uscita più recente della collana italiana è quella dedicata a Charles Fourier , uno dei più noti fra i “socialisti utopisti” del primo Ottocento. Il libro è curato da Chantal Guillaume, una filosofa che si interessa sia di Fourier (ha partecipato alla creazione della Association d'études fourieristes ) sia di decrescita (ha fatto parte del comitato di redazione di “Entropia”, rivista dedicata appunto al pensiero della decrescita), ed è quindi senz'altro la persona più adatta per discutere sul tema “Fourier e la decrescita”. Penso che una riflessione su questo tema sia un buon modo per discutere di un problema che mi sta molto a cuore, quello della creazione di un possibile nuovo movimento anticapitalista all'altezza dei problemi attuali, e del ruolo in esso del movimento della decrescita da una parte, e del pensiero marxista dall'altra. È noto che in genere i marxisti sono ostili, o quantomeno diffidenti, nei confronti della decrescita, ritenendo che si tratti di una realtà incapace di contrastare il capitalismo, o magari connivente con esso. Io ritengo invece che il movimento della decrescita abbia importanti potenzialità anticapitalistiche, e che in ogni caso un eventuale futuro movimento anticapitalista, se mai nascerà, non avrà sicuramente le caratteristiche che immaginano i marxisti, ma sarà appunto o il movimento della decrescita o qualcosa che gli assomiglierà. Questo mi porta a guardare al movimento della decrescita con occhi diversi rispetto a tanti marxisti, senza nascondermi i suoi punti critici ma cercando, appunto, di metterne in evidenza le potenzialità anticapitalistiche. Una riflessione su “Fourier e la decrescita” può forse aiutare a chiarire tutto questo. 2. Per cominciare, ci si può chiedere quanto sia adeguata la presentazione di Fourier come di un “precursore della decrescita”. Ovviamente è molto difficile che in un pensatore morto nel 1837 si possano trovare risposte dirette ai problemi del mondo moderno e alle domande che si sviluppano all'interno di un movimento come quello della decrescita, che ha poco più di dieci anni di vita. La curatrice è in effetti molto attenta a non dare l'impressione di voler “iscrivere” Fourier al movimento della decrescita, e si limita quindi a indicare una serie di assonanze su alcuni temi: la critica al dominio dell'economia sulla società e alla crescita della produzione industriale come fine in sé, la richiesta di una produzione di beni non soggetti a rapida obsolescenza e in generale l'idea della produzione guidata dai bisogni e non dal profitto, le piccole comunità come fondamento della società futura. Fra le tante suggestioni possibili, a mio avviso un punto molto interessante del pensiero di Fourier è la sua lontananza da posizioni di tipo “moralistico-ascetico” che talvolta possono essere associate sia a un certo tipo di socialismo, sia a un certo tipo di ecologismo. Fourier non mira alla creazione di tipi antropologici del tutto nuovi, spogliati degli aspetti passionali dell'essere umano e dediti ad una vita di virtù altruistiche. Egli vuole non reprimere le passioni ma far sì che esse si possano esprimere in modi non distruttivi nei confronti degli individui e della comunità [1]. La stessa brama di ricchezza non è negata da questo strano rivoluzionario: nelle comunità che egli immagina non vige l'egualitarismo stretto, vi sono in esse differenze di ricchezza fra gli individui, che sono mitigate dal fatto di non essere così stridenti come nella società del suo tempo, e soprattutto dal fatto che a tutti è assicurato un alto livello di vita. La libera espressione delle passioni riguarda tutti gli aspetti della vita, anche l'alimentazione [2]. Le forme concrete in cui Fourier immaginava tutto questo rappresentano, come è noto, l'aspetto più pittoresco del suo pensiero. La minuta organizzazione dei suoi “Falansteri” può oggi certo far sorridere, eppure ci sembra che abbia colto qualcosa di importante, rispetto a questo pensatore, Walter Benjamin, quando in una delle sue “Tesi di filosofia della storia” scrive, in un noto passo, che la concezione del lavoro di Fourier, contrapposta a quella positivistica della socialdemocrazia con cui Benjamin polemizza, è quella di “un lavoro che, lungi dallo sfruttare la natura, è in grado di sgravarla dalle creature che dormono latenti nel suo grembo”[3]. Questo stesso passo di Benjamin può introdurci, io credo, verso una più attenta considerazione delle complesse problematiche cui ci porta l'accostamento del pensiero di Fourier con i nostri problemi. Infatti, questo “sgravare la natura dalle creature che dormono latenti nel suo grembo” può essere vista come la prefigurazione di un rapporto con la natura che cerca di non forzare le dinamiche di sviluppo naturale, ma anche, al contrario, come un'imposizione astratta di mutamenti squilibranti, come potrebbe essere oggi l'ingegneria genetica. È probabile che in Fourier si possano trovare spunti che portano in una direzione o nell'altra, e che questo sia tipico della sua posizione di iniziatore di un “nuovo mondo” di idee. Analoghe considerazioni si possono fare per molti altri aspetti del suo pensiero. Quando Fourier scrive che “noi desideriamo troppo poco” [4] è evidente, mi pare, che lo sviluppo di un simile pensiero può andare in direzioni molto diverse, sia nella direzione di una “abbondanza frugale” nella quale si desidera molto in termini di tempo libero e di relazioni umane, sia nella direzione di un consumismo nel quale si desidera molto ma in termini di ricchezze materiali. Queste ambiguità mi sembrano connaturate al pensiero di Fourier, al suo essere, come dicevo, un precursore che intravede molti possibili sviluppi futuri ma ancora in uno stato germinale, come potenzialità la cui attuazione può assumere aspetti e significati molto diversi. Per rispondere alla domanda iniziale, allora, potremmo dire che Fourier, senza forse essere a rigore un “precursore”, offre al mondo della decrescita alcuni spunti importanti di riflessione, pur di sapersi muovere nella complessità del suo pensiero con attenzione e cura, e senza nascondere la possibilità di spunti e interpretazioni che possono andare in direzioni diverse. Mi sembra che da questo punto di vista il saggio introduttivo di Guillaume sia molto equilibrato e sia quindi un buon punto di partenza per chi voglia riflettere su Fourier da questa angolatura. 3. Se cerchiamo adesso di approfondire queste riflessioni, credo sia interessante confrontarsi con quanto scrissero Marx ed Engels su Fourier, come pure sugli altri utopisti suoi contemporanei (Saint-Simon, Owen). È noto che Marx ed Engels furono aspramente critici verso tutte le forme di socialismo utopistico, astratto, ineffettuale, a loro contemporanee, e che, anche per distinguersi da esse, coniarono per la loro concezione l'espressione “socialismo scientifico”. Ciò che mi sembra interessante per la nostra discussione attuale è il fatto che, aspramente critici verso gli epigoni, Marx ed Engels hanno invece giudizi più complessi, sfumati e articolati verso i grandi utopisti delle generazioni precedenti, appunto Fourier, Owen, Saint-Simon. Nel “Manifesto”, i nostri autori ascrivono fra i meriti degli utopisti sia quello di riconoscere “il contrasto fra le classi e l'azione degli elementi dissolventi nella stessa società dominante” [5] sia quello di “patrocinare nei loro progetti principalmente gli interessi della classe operaia” [6], mentre contemporaneamente ne rilevano i limiti, quelli appunto di delineare costruzioni utopistiche e fantastiche, spiegando tali limiti con l'arretratezza delle condizioni storiche, con “la forma non sviluppata della lotta fra le classi” [7]. La sintesi di questi giudizi di Marx ed Engels nel “Manifesto”, nel momento stesso in cui polemizzano con molte delle forme del socialismo a loro contemporanee, comprese quelle degli epigoni degli utopisti, è probabilmente il passo seguente: “questa descrizione fantastica della società futura corrisponde, in un momento in cui il proletariato è ancora pochissimo sviluppato, cosicché esso stesso si rappresenta in modo ancora fantastico la sua propria posizione, al suo primo impulso, pieno di presentimenti, verso una trasformazione generale della società”[8]. È evidente che si tratta di un giudizio molto diverso rispetto a quello, sferzante, riservato ai più tardi epigoni dei maestri del socialismo utopistico. Il socialismo dei primi utopisti ha cioè, nel giudizio di Marx ed Engels all'altezza del “Manifesto”, una sua necessità storica, rappresenta il primo impulso verso la trasformazione della società, e viene però superato dagli sviluppi storici, in particolare dallo sviluppo della lotta di classe e dal conseguente sviluppo del proletariato come classe cosciente. Trent'anni più tardi, Engels, nella parte finale del cosiddetto Anti-Dühring[9], esprimerà giudizi non troppo diversi [10]. Tracciando un rapido schizzo del socialismo utopistico, Engels mette in primo piano il fatto che il proletariato aveva, all'epoca degli utopisti, appena iniziato la sua evoluzione di classe indipendente. “All'immaturità della produzione capitalistica, all'immaturità della posizione delle classi, corrispondevano teorie immature” [11]. Una volta spiegato in questo modo il carattere immaturo e fantastico delle elaborazioni degli utopisti, Engels prosegue così: “una volta stabilito tutto questo, non ci fermeremo neanche un momento di più su questo lato che oggi appartiene completamente al passato” [12]. Criticando chi perda il proprio tempo a mettere in luce gli aspetti fantastici e immaturi nel pensiero degli utopisti, Engels afferma “noi preferiamo invece rallegr
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