La mammografia come screening - di Giuseppe Di Bella
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La mammografia come screening - di Giuseppe Di Bella
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L’uso della definizione di «prevenzione» (secondaria) per mammografie e screening vari è improprio, inesatto, in quanto il vero autentico, unico significato e finalità della prevenzione consiste nell’attuare tutte quelle misure dietetiche, comportamentali e soprattutto farmacologiche che riducono il rischio di insorgenza di neoplasie. Il termine «Prevenzione» è appropriato solo in quella che viene definita prevenzione primaria, che prevede la diminuzione del rischio che un tumore insorga, si stabilizzi, si sviluppi, si diffonda. Lo studio della prevenzione prevede un aspetto statistico, con tutti i limiti connessi, e studi, ricerche di vario ordine, di estrema delicatezza e complessità, condotti con criteri rigorosamente scientifici per individuare le cause e la catena etiopatogenetica del tumore. Il metodo statistico studia in quali popolazioni e in quali condizioni di vita, sociali, ambientali, climatiche, alimentari, ecc… il tumore presenta un significativo incremento o calo di frequenza. Simili ricerche sono numerose anche se hanno un valore più orientativo che determinante. Il tumore della mammella si manifesta con maggiore frequenza in quelle popolazioni femminili dallo sviluppo precoce, con menarca (prima mestruazione) anticipato. Così come sono più esposte le donne che non hanno avuto figli. La prolificità è in rapporto inversamente proporzionale all’incidenza di tumori. La procreazione è un fenomeno di una tale complessità che è difficile individuare nel suo ambito la o le cause scientifiche che inibiscono il tumore. Rimane la constatazione del dato statistico: è più disposta al tumore della mammella una donna che non ha avuto figli, di una che ha avuto una o più gravidanze. Così come sono più esposte le donne con menopausa avanzata, in tarda età. Questi dati statistici sono accettabili ma vanno approfonditi perché insufficienti a fornire deduzioni di ordine etiologico, causale, consequenziale. Cioè, prendiamo atto di un fenomeno senza poterne esattamente ed esaurientemente spiegare le cause. Il tumore della mammella è il più frequente nella donna, con maggior incidenza nella razza bianca, fattori causali virali sono ipotizzati ma non accertati, mentre l’aumento di alcuni ormoni come gli estrogeni e la prolattina, il deficit di altri, soprattutto l’insufficienza luteale, sono ormai comunemente riconosciuti come fattori di rischio. Altri fattori di rischio sono stati individuati nella vita sedentaria: è documentata una maggiore incidenza neoplastica nelle donne in particolare e in genere nelle persone che si muovono poco per lavoro, carattere o altre cause. Vi è pertanto anche un dato meccanico, con un incremento, secondo alcune statistiche, fino al 30% d’incidenza tumorale in queste situazioni. Il dato è convalidato da studi statistici scandinavi, dove era evidenziato un significativo calo fino al 30% di tumori nelle donne che regolarmente dedicano alcune ore la settimana ad attività in palestra. Altre cause predisponenti accertate sono la mastopatia fibrocistica, il diabete mellito, l’ipotiroidismo, pertanto, in presenza di una familiarità di predisposizione ai tumori, di cisti al seno, o di mastopatia fibrocistica, è opportuno un dosaggio della prolattina, degli estrogeni, dei progestinici e della funzionalità tiroidea. Particolare rilevanza assume il dosaggio della prolattina, perché dosaggi superiori ai fisiologici, favoriscono indubbiamente l’insorgenza e la progressione di tumori alla mammella. La possibilità di intervenire e ridurre rapidamente l’eccesso di prolattina si può realizzare attraverso l’impiego di molecole dotate di una specifica azione inibente, come la Bromocriptina, e/o, la Cabergolina. L’uso continuativo di ormoni ovarici come gli estrogeni, frequentemente impiegati sia in funzione anticoncezionale che sostitutiva post menopausa, è una delle più frequenti cause di tumori della mammella, dell’utero e delle ovaie. Altro fattore meccanico tutt’altro che secondario è costituito dall’uso di reggiseni, che non dovrebbero mai essere troppo stretti per non esercitare un’eccessiva compressione del seno, incarcerato da contenzioni eccessivamente compressive. È noto al riguardo il monito dell’American Physiology Association, che proprio per la coesistenza della compressione traumatica del seno e dell’elevata emissione di radiazioni ionizzanti ha individuato nelle mammografie troppo frequenti un ulteriore e non trascurabile fattore di rischio di tumore della mammella. Sarebbe utile sull’argomento far conoscere i risultati di un documentato studio pubblicato sul Journal of Royal Society of Medicine, diffuso anche dalla la stampa britannica. Il quotidiano The Guardian in base a questo studio ha informato che le morti da tumore al seno non sono minimamente diminuite per l’estensione delle mammografie su larga scala e il loro impiego come screening, contestando e invalidando la tesi del Dipartimento della Salute su una presunta diminuzione della mortalità per cancro al seno nelle donne invitate allo screening. Lady Delyth Morgan, capo esecutivo della charity Breast Cancer, ha ammesso che «i risultati contrastanti dei vari studi, possono creare confusione nelle donne». L’unico dato certo emerso era già ovvio anche senza scomodare i luminari del Dipartimento britannico della salute: «individuando presto i tumori si hanno più probabilità di vivere più a lungo». Il Dr Peter Gotzsche (direttore della Nordic Cochrane Collaboration di Copenhagen, sezione danese dell’iniziativa internazionale no profit nata per valutare criticamente la reale efficacia degli interventi sanitari) dopo aver analizzato per un decennio i dati dei vari screening, mette in dubbio gli effettivi benefici delle mammografie per la diagnosi precoce del cancro al seno. Ne parla ampiamente nel suo libro Mammography screening: truth, lies and controversy (Screening mammografici: verità, bugie e controversie). «Non è vero che questi esami riducono di un terzo le morti per cancro al seno» sostiene Gotzsche sulla base degli studi passati in rassegna. «Su 2mila donne sottoposte a mammografia – scrive l’esperto – probabilmentesolo una viene salvata, ma altre 10 subiscono un danno. Laconseguenza è che cellulecancerose che morirebbero spontaneamente, o che non progredirannomai in patologia conclamata, vengono asportate e in alcuni casi (6 volte su 10) la paziente perde un seno». Senza contare che itrattamenti farmacologici o radioterapici, come la stessa chirurgia,comportano tutti anche dei «costi psicologici e fisici». Ovviamente, contro questo libro eretico si sono già rabbiosamente scatenati i promotori istituzionali della generalizzazione dello screening mammografico annuale. Gotzsche contesta nel suo libro (in cui denuncia anche «attacchi da parte delle lobby pro-screening contro di lui e altri colleghi), un’offensiva mossa da chi ha «interessi finanziari perché questi programmi continuino». Klim McPherson, professore di epidemiologia della salutealla Oxford University, fa invece notare che «le revisioni di Gotzsche sono studi di qualità altissima e non andrebbero liquidate con leggerezza». La denuncia del Dr Gotzsche non è caduta nel vuoto. Sir MikeRichards, direttore clinico del National Cancer inglese, ha annunciatol’avvio di una nuova revisione indipendente sulla reale utilità degli screeningmammografici. «per verificare che effettivamente i rischi non superino eventuali benefici». Ha avuto una discreta diffusione e notorietà lo studio pubblicato dal Dr Mike Adams: «Le mammografie sono una bufala medica, oltre un milione di donne americane danneggiate da «trattamenti» non necessari per tumori che non hanno mai avuto (Naturalnews.com)». La mammografia è una crudele bufala medica. Come ho descritto qui su Natural News più di una volta, lo scopo principale della mammografia non è salvare donne dal cancro, ma reclutarle come falsi positivi per «spaventarle e portarle a sottoporsi a trattamenti costosi e tossici come la chemioterapia, le radiazioni e la chirurgia» … «Il piccolo sporco segreto dell’industria del cancro è che proprio gli stessi oncologi che terrorizzano le donne con la falsa credenza di avere un cancro sono quelli che realizzano enormi profitti vendendo loro i chemioterapici. Il conflitto di interessi e l’abbandono dell’etica nell’industria del cancro lascia senza fiato». Il Dr Adams fa riferimento alle critiche più autorevoli e documentate allo screening mammografico, quelle di H. Gilbert Welch , Professore di Medicina al Dartmouth Institute for Health Policy and Clinical Practice e autore di Overdiagnosed: Making People Sick in the Pursuit of Health. «Il cancro al seno è probabilmente la forma di cancro che deve destare maggiore preoccupazione per una donna non fumatrice. La mammografia è uno strumento importante, non c’è alcun dubbio. Però, d’altra parte, la mammografia preventiva nel migliore dei casi è probabile che causi più problemi di quanti ne risolve». Lo studio di Gilbert Welch ha confermato che: la maggior parte delle donne con «diagnosi» di cancro tramite mammografia non ha mai avuto il cancro. Il 93% delle «diagnosi precoci» non ha alcun beneficio per il paziente. Questa è la conclusione del suo pionieristico studio pubblicato sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine. «Abbiamo riscontrato che l’introduzione dello screening ha portato 1,5 milioni di donne alla diagnosi di cancro alla mammella in fase iniziale», scrive il co-autore dello studio Dr. Gilbert Welch, che così continua: «Abbiamo scoperto che ci sono state solo 0,1 milioni di donne in meno con una diagnosi di cancro alla mammella in fase terminale. La discrepanza significa che c’è stata molta diagnosi inutile ed esagerata: a più di un milione di donne è stato detto di avere un cancro in fase iniziale — molte delle quali hanno subito chirurgia, chemioterapia o radiazioni per un cancro che non le avrebbe mai fatte stare male. Anche se è impossibile sapere chi siano queste donne, il danno è evidente e serio». L’inquinamento progressiv
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