Ipotesi Barbiero: Atlantide si trova sotto i ghiacci del polo sud
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Ipotesi Barbiero: Atlantide si trova sotto i ghiacci del polo sud
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Quella di Atlantide è la civiltà perduta per eccellenza, la “madre” di tutte le civiltà secondo alcuni, ed è considerata fin dai tempi antichi uno dei più impenetrabili misteri dell’archeologia. La sua ricerca vede impegnate da molti secoli generazioni di studiosi nel vano tentativo di dare una risposta credibile al problema della sua ubicazione. Nonostante le tante ipotesi avanzate sul misterioso continente perduto di Atlantide, finora non è ancora stato trovato nulla che possa confermarne la passata esistenza. Non potrebbe essere allora, si sono chiesti alcuni, che Atlantide non sia finita sotto il mare, e che non possiamo vederla perché è nascosta da qualcos’altro? La pensa così chi ritiene che in realtà l’Antartide fosse un tempo priva di ghiacci e proprio qui si trovasse l’antica civiltà perduta. Tutto iniziò a metà degli anni ’50 con l’osservazione di uno studioso di mappe antiche, il capitano statunitense Arlington H. Mallery, che esaminandone una scoperta alcuni anni prima in Turchia ebbe un’illuminazione. La carta, realizzata nel 1513 dall’ammiraglio turco Piri Ibn Haci Mehmet, meglio noto come Piri Re’is (“l’ammiraglio Piri”), fu disegnata su una pelle di gazzella colorata ad acquarello e perduta per oltre 400 anni. Nel 1929, durante la trasformazione del vecchio Palazzo Imperiale di Istanbul nel museo archeologico Topkapi, la mappa ricomparve e destò sorpresa perché collocava l’America Meridionale nella corretta posizione longitudinale in rapporto all’Africa: un fatto insolito per le mappe del ’500. Ciò che colpì Mallery, però, fu qualcos’altro. Egli si convinse che il lembo di terra raffigurato all’estremo sud della mappa rappresentasse la costa dell’Antartide libera dal ghiaccio. Ma a far diventare esplosiva questa ipotesi furono le successive osservazioni dello studioso Charles H. Hapgood, secondo il quale la precisione della longitudine sulla mappa di Piri Re’is non si poteva spiegare sulla base della scienza cinquecentesca. In particolare esisteva, a suo dire, «una concordanza sorprendente con il profilo della Terra della Regina Maud nell’Antartide» rilevato solo nel 1954 attraverso sondaggi sismici. Ne conseguiva che la mappa si doveva basare su carte più antiche realizzate da viaggiatori di una civiltà sconosciuta, ma progredita, esistita prima dell’Era glaciale. Chi ipotizzò che questa civiltà sconosciuta fosse Atlantide non furono scrittori come i coniugi Rand e Rose Flem-Ath o Graham Hancock, che negli anni ’90 dedicarono a quest’idea libri molto venduti, bensì un ingegnere italiano, Flavio Barbiero, che per primo ne parlò nel 1974 nel libro Una civiltà sotto ghiaccio. La teoria di Barbiero prende avvio dall’ipotesi che circa 12 mila anni fa la Terra fosse inclinata diversamente da com’è oggi. Ruotava perpendicolare sul piano dell’eclittica per cui le stagioni coincidevano stabilmente con le fasce climatiche. Alaska e Siberia, così come l’Antartide, erano prive di ghiacci, a differenza di Europa e America nord-occidentale ricoperte dai ghiacci eterni. In Antartide, in particolare, fioriva una civiltà marinara molto evoluta, dove era stata inventata l’agricoltura, la metallurgia e dove fiorivano architettura, tecnologia, arte e scienza di alto livello mentre nel resto del mondo l’uomo era all’Età della pietra. Circa 13 mila anni fa, dopo 2 mila anni di progressi, questa civiltà chiamata Atlantide subì una devastante catastrofe che la annientò quasi interamente. Una cometa o un asteroide, del diametro di una decina di chilometri, colpì la Terra nei pressi della Florida provocando una serie di trasformazioni globali istantanee. L’asse di rotazione della Terra cambiò, i poli cioè si spostarono di colpo di migliaia di chilometri, assumendo la posizione attuale. L’impatto sollevò una nube di polveri tale da innescare piogge torrenziali, con il conseguente abbassamento delle temperature e l’avvio della Grande glaciazione. Il raffreddamento fu così veloce da cogliere di sorpresa i grandi mammut che pascolavano per la Siberia, come dimostrerebbe il fatto che nello stomaco di un esemplare ritrovato c’erano ancora i resti dell’ultimo pasto di erbe tipiche delle zone temperate: si era congelato senza avere avuto il tempo di decomporsi. Ma l’effetto più devastante fu l’onda ciclopica provocata dall’impatto del bolide: un’onda che avrebbe travolto tutte le terre, compresa Atlantide-Antartide. Solo grazie alle sue flotte di imponenti navi, parte della popolazione riuscì a mettersi in salvo e a raggiungere l’America, l’Africa e l’Asia. Sull’isola madre, intanto, prese a nevicare per settimane e forse mesi, finché una coltre gelata, spessa decine di metri, seppellì definitivamente Atlantide. I superstiti, sparpagliati per il mondo, iniziarono a interagire con gli uomini paleolitici, insegnando loro a coltivare i campi e dando una forte accelerazione allo sviluppo della civiltà, originando l’Età neolitica. La teoria è molto suggestiva, ma ci si chiede: quali sono le prove? Innanzitutto, risponde Barbiero, la scomparsa improvvisa di decine di specie animali che 13 mila anni fa popolavano l’emisfero settentrionale: mastodonti, mammut, rinoceronti lanosi, renne, bisonti antichi, cavalli, cammelli, tigri dai denti a sciabola e così via. In secondo luogo, le importanti somiglianze tra i racconti dei popoli di tutto il mondo, dalla Bibbia alla Mesopotamia, dal mito dell’isola di Mu nel Nord America a quello di Lemuria) dove c’è sempre un diluvio che travolge il mondo e poi qualcuno che viene dal mare e insegna a coltivare la terra. Tali leggende sarebbero la prova che il ricordo dei fenomeni seguiti al cambiamento di asse della Terra è rimasto profondamente radicato nella memoria dei popoli. Altre leggende diffuse potrebbero svelare che il corpo celeste che colpì la Terra fu probabilmente una cometa. Basta pensare a quell’antica superstizione secondo cui le comete sarebbero messaggere o portatrici di gravi calamità. E Atlantide deve corrispondere all’Antartide perché, dice Barbiero, «in nessun altro posto sono stati trovati resti archeologici. Una civiltà del genere, in Europa per esempio, li avrebbe lasciati per forza». Inoltre è l’unica che rispecchi la descrizione che ne dà Platone: un’isola avente una superficie di milioni di km quadrati, circondata da un oceano a sua volta circondato da una fascia continua di continenti, ricca di metalli e favorita (prima del diluvio) da un clima mite. A ulteriore riprova di ciò Barbiero sostiene che «tutti i planisferi anteriori alla scoperta dell’America, sono in realtà carte dell’Antartide: tutti i popoli antichi concepivano il mondo come una grande isola pressoché circolare, circondata dall’oceano, e questo a sua volta da terre irraggiungibili e misteriose». Osservando per esempio il planisfero tratto dalle Grandes Chroniques de Saint-Denis(1364-1372) Barbiero vi riconosce «il mare di Ross in alto a destra, la baia di Mackenzie a sinistra e il mare di Weddell in basso» oltre alla «fitta rete di canali analoga a quella descritta da Platone». Per non parlare della carta di Piri Re’is che riprodurrebbe il profilo dell’Antartide scoperta dai ghiacci. Secondo Barbiero, tutte queste mappe medievali sarebbero riproduzioni di carte geografiche più antiche, provenienti magari dalla biblioteca di Alessandria prima che fosse distrutta. Barbiero riconosce che questi possono essere considerati solo indizi, e che solo il ritrovamento di tracce archeologiche di Atlantide potrebbe trasformarli in prove. «Basterebbe trovare anche un solo mattone per dimostrarne l’esistenza e rivoluzionare tutta la storia antica e la geologia». Tuttavia, il “mattone” di Atlantide ancora manca. Non solo non sono state mai trovate tracce di vita preistorica sull’Antartide, ma non ce ne sono nemmeno nei luoghi in cui gli atlantidei avrebbero riparato dopo il diluvio. Se davvero questi uomini così evoluti portarono la civiltà in America, Africa e Asia 10 mila anni fa, non ne esistono tracce. Secondo l’archeologia classica, i primi segnali di civiltà superiore sono molto più recenti e risalgono a circa 4 mila anni prima di Cristo, con qualche rara eccezione. La risposta di Barbiero è che gli atlantidei, essendo marinai, si stabilirono principalmente sulle coste dei vari Paesi: coste che, in seguito allo scioglimento dei ghiacci, finirono sommerse a 130 metri di profondità. Allo stesso modo, i resti delle città atlantidee create quando il Sahara era fertile sarebbero finiti sotto la sabbia del deserto. Prima dell’avvento della datazione al radiocarbonio 14, ogni questione relativa all’origine ed alle caratteristiche di una qualsiasi cultura antica veniva risolta sulla base dello scenario diffusionista, che nella sua formulazione più essenziale era il seguente: l’agricoltura si è sviluppata per la prima volta nel Medio Oriente, in quella fascia di terra denominata Mezzaluna Fertile. Qui sono sorte le prime culture neolitiche e, successivamente, tra il quinto ed il quarto millennio a.C., le prime civiltà superiori, che si sono diffuse poi in tutto il resto del mondo. Campo obbligato di ricerca era allora lo studio comparato delle civiltà, delle loro mitologie, tradizioni, usi e costumi, conoscenze scientifiche e tecnologiche, che forniva ampio supporto alla teoria diffusionista, mostrando una sostanziale identità da un capo all’altro del pianeta. Dopo l’introduzione delle datazioni al radiocarbonio 14, la teoria diffusionista è crollata. Si è scoperto, infatti, che l’agricoltura è nata contemporaneamente in almeno sei aree del mondo senza alcuna relazione apparente fra loro: il Centro e Sud America, la Mezzaluna Fertile, l’Africa Centrale, la Cina orientale ed il Sud Est asiatico. Sono saltate anche la maggior parte delle relazioni temporali fra civiltà diverse, stabilite in base ai presupposti della teoria diffusionista. Nel Mediterraneo, ad esempio, le civiltà megalitiche di Malta e dell’Europa nord-occidentale si sono rivelate più antiche dei loro presunti modelli mesopotamici ed egizi. Per reazione al diffus